martedì 14 ottobre 2008

LETTERE dalla LOGGIA II

Cari amici,

l’impegno in Consiglio comunale prosegue attivamente
(compatibilmente con le esigenze di studio per l’imminente
esame d’avvocato), anche perché la nuova Giunta intende,
come è ovvio, imprimere il proprio stigma nella guida della
Città e un’opposizione che si rispetti non può certo stare
a guardare.

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Tale discontinuità, tuttavia, non sempre si accompagna al
buon senso e alla necessaria preparazione che la
responsabilità politico-amministrativa impone.

E’ il caso, emblematico su tutti, della vicenda delle Torri
di san Polo
.
Un argomento che nel programma elettorale del sindaco
Paroli - e nelle successive linee programmatiche del
mandato (adottate dal Consiglio a giugno) - era del tutto
assente, ma che dalla fine di luglio è tornato
straordinariamente alla ribalta grazie all’annuncio shock
dell’abbattimento delle Torri Cimabue e Tintoretto.

La prima riflessione che mi è sorta spontanea,
mentre dalla cambusa del campo scout leggevo il relativo
articolo di giornale, è stata proprio incentrata sul
carattere dirompente della decisione.
Rimango tuttora dell’idea che una scelta dalle conseguenze
urbanistiche, sociali, ambientali, economiche così
importante dovesse, oltre che essere necessariamente ben
ponderata, derivare da un confronto, da un dibattito nella
Città.
Era o non era questo un tema da campagna elettorale, sul
quale maturare consenso ovvero focalizzare l’attenzione ?

Così non è stato, e al posto di un progetto - ben più
partecipato ed elaborato - che l’ormai ex assessore
Bragaglio aveva concertato con l’Aler e che prevedeva un
generale risanamento delle Torri, a partire dalla
realizzazione di nuovi ingressi e dalla differenziazione
della composizione sociale dei suoi inquilini, se ne è in
fretta e furia imbastito uno radicalmente alternativo.
Che però avrà conseguenze di non poco conto: innanzitutto,
l’abbattimento delle Torri imporrà di trovare una consona
sistemazione ai quattrocento nuclei familiari (quasi mille
persone) che le abitano.
La soluzione su cui si sta orientando l’amministrazione
comunale è quella di ‘requisire’ tutta la potenzialità di
edilizia residenziale pubblica che si è creata negli ultimi
anni (in primis Sampolino), che peraltro basterebbe a
coprire le esigenze di una sola torre: con la inevitabile
concentrazione in orizzontale della medesima - critica -
situazione sociale prima in verticale e con il conseguente
blocco delle graduatorie per l’assegnazione dei nuovi
alloggi per un periodo non brevissimo (nella migliore delle
ipotesi, almeno cinque anni).

A chi - come il PD - ha criticato la scelta della Giunta è
stato ribattuto che, fosse stato per l’opposizione, si
sarebbe mantenuto lo status quo: uno status quo fatto di
pesante disagio e di obiettiva difficoltà. Ma non era certo
nostra intenzione, né tantomeno mia personale, difendere un
esempio di edilizia pubblica - quello delle Torri -
obiettivamente superato e i cui forti limiti si sono
evidenziati in maniera palese.

Ciò che in realtà è apparso criticabile è stata la volontà
di adottare una soluzione drastica che rischia di essere
foriera di ulteriori gravi problematiche (oltre che di
costi decisamente non contenuti).
Non solo, ma resta più di un dubbio sul fatto che la scelta
dell’abbattimento sia stata assunta non al termine di un
ragionamento di costi/benefici, ma a priori.
Che in somma l’abbattimento più che uno strumento per
risolvere determinati problemi sia stato assunto come un
fine in sé.
Di qui, dunque, la definizione da me data dell’operazione
come improvvisata e ideologica. Ossia, tutto il contrario
di quanto una buona politica dovrebbe fare.

In ogni caso, l’iter amministrativo per giungere a
concretizzare l’annuncio della Giunta è ancora lungo:
la Regione dovrà vagliare il progetto, eventualmente
finanziarlo e, solo a quel punto, si potrà entrare più nel
dettaglio delle conseguenze pratiche, che però fin d’ora
appaiono intuibili e che sono già state poste al centro del
dibattito (ma non della decisione) del Consiglio.

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Nell’ambito dell’attività di Commissione (in questo mandato
sono componente della Commissione Bilancio e Aziende
Partecipate
), abbiamo avviato - oltre agli ordinari
incombenti per le tappe del bilancio (preventivo,
consuntivo, variazioni, stato di attuazione, assestamento
generale) - anche una interessante attività di monitoraggio
dell’operato delle Aziende Partecipate.
E’ convinzione diffusa, a partire dal presidente della
Commissione, il collega e amico Fabio Capra, che il Comune
debba esercitare appieno il proprio ruolo di azionista e
che il Consiglio non affidi unicamente al Sindaco e alla
Giunta tale controllo.
Le conseguenze infatti che le aziende partecipate hanno
sulla qualità complessiva dei servizi erogati alla
cittadinanza sono assai rilevanti, anche se spesso non c’è
da parte della classe politica la medesima attenzione per i
servizi gestiti direttamente dalla macchina comunale.

Alla ripresa settembrina si è pertanto iniziato un ciclo di
audizioni con gli amministratori delle aziende partecipate.
Ricordo in particolare il Presidente della Centrale del
Latte
Franco Dusina e la Presidente della Fondazione
Brescia Solidale
Adele Ferrari, che dal settembre dell’anno
scorso è responsabile della gestione delle RSA comunali e
di molti centri anziani e centri diurni integrati nella
nostra Città.
Il varo di tale fondazione era stato accompagnato da
notevoli polemiche, sia da parte dei sindacati che facevano
presagire un dumping a danno dei lavoratori sia da talune
forze politiche preoccupate del livello qualitativo
dell’assistenza agli anziani.
I dati fornitici dopo un anno di gestione confutano
tuttavia tali preoccupazioni: gli standard di qualità (a
partire dai minutaggi di assistenza) non sono diminuiti
(come dimostrano anche i giudizi espressi dalle famiglie) e
si sono introdotte positive dinamiche di contenimento dei
costi, attraverso oculate politiche del personale e delle
forniture.
Per un risparmio, nel solo primo anno, di 600 mila euro,
pari a circa dieci euro giorno/pro utente.
Spiace pertanto a quest’ultimo riguardo constatare
l’atteggiamento del centro-destra ora al comando.
Dapprima nel programma di Paroli si affermava che si
sarebbe ripensata la scelta della Fondazione, ora si celano
i positivi dati del primo anno di gestione tirando in ballo
la mancata concessione da parte dell’Agenzia delle entrate
dello status di onlus.
In effetti, la concessione di tale status avrebbe permesso
un risparmio ai fini IRAP di circa 100 mila annui (non 150
mila come dichiarato domenica dall’assessore Maione sul
giornale di Brescia), ma non si deve dimenticare che si
tratta di costi che il Comune già sosteneva e quindi è
scorretto dire che ci sarà un aggravio per le rette degli
anziani.
Un conto è uno sconto introdotto ex novo, un altro è un
aggravio in più: mi sembra una differenza elementare, ma
tant’è.

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Sempre sul fronte del rapporto con le Aziende partecipate
grande attenzione è stata dedicata alla delicata situazione
di A2A, la multi utility nata dalla fusione tra Asm Brescia
e Aem Milano.
Due in effetti sono i segnali di criticità che i primi mesi
della società post fusione dimostrano:
innanzitutto delle performances economiche non
brillantissime
(con un calo di utile a fronte di un aumento
di fatturato: e si sa che tanto deve il bilancio del Comune
di Brescia ai dividendi di Asm) e, soprattutto, un
atteggiamento interno all’azienda in cui la pariteticità -
che era ed è presupposto sul quale si è realizzata la
fusione - viene messa ogni giorno in discussione da una
predominanza nei fatti del management milanese a scapito di
quello bresciano
.
Questo si è tradotto in aumento della burocratizzazione
dell’azienda, in una deresponsabilizzazione del management
tecnico (gli ingegneri) a favore di quello amministrativo
(i legali), in un accentramento a Milano delle decisioni
che imbriglia anche le aziende controllate (Asmea, Aprica,
Selene...). Tale fenomeno ha inoltre reso problematiche le
relazioni industriali interne (con il primo sciopero
unitario di carattere locale dopo più di una decina d’anni).

Il quadro che ne emerge impone pertanto all’azionista-
Comune un doveroso intervento, volto innanzitutto a
chiarire cause e responsabilità di tale situazione e a
elaborare strategie d’uscita dalla stessa.

C’è chi (leghisti e Sindaco in testa) ha puntato il dito
con la fretta che avrebbe contraddistinto il varo della
fusione; chi (l’on. Saglia, AN) ha da subito denunciato i
rischi dell’adozione della governance dualistica; chi
(l’on. P. Ferrari, PD) attacca i vertici dell’ex Asm
denunciandone errori passati; chi, come anche il mio
capogruppo Del Bono, afferma che si sarebbe dovuti giungere
all’appuntamento con i milanesi dopo aver preventivamente
stretto accordi con la bresciana Cogeme.

Non voglio fare una difesa d’ufficio della fusione, che ho
ai tempi approvato pur con alcune puntualizzazioni.
Tuttavia debbo per onor del vero mettere in campo quanto,
nel corso dell’iter che ha condotto alla fusione, ho avuto
modo di apprendere.
E’ per tale motivo che reputo parziali e non risolutive le
motivazioni sopraccitate. Tuttavia sono pienamente
consapevole dell’evidente stato di criticità della
situazione, anche alla luce dell’audizione che come
Commissione abbiamo avuto dei due presidenti del Consiglio
di Sorveglianza e del Consiglio di Gestione.

Va detto che gli elementi che, a suo tempo, furono forniti
al Consiglio comunale per assumere la scelta che poi si è
assunta erano tali da indurre nella direzione tracciata:
l’accordo quadro tra le due aziende, i patti parasociali
tra i due Comuni azionisti di maggioranza, le linee guida
dell’accordo tra Brescia e Milano deponevano a favore della
fusione.
Ed è ad essi che, a mio modesto avviso, si deve tornare,
perché quei documenti ripartivano competenze e
responsabilità, oggi spesso travalicate oppure rimaste solo
sulla carta: di qui dunque l’esigenza di una loro corretta
attuazione.
Inoltre, c’è un problema che in questi mesi si è acuito ed
è dato dal fatto che la rappresentanza bresciana in seno ai
due organi societari (Consiglio di sorveglianza e Consiglio
di gestione) non sempre (sia permessa questa eufemistica
litote) si è coordinata proficuamente.

Certo, rimediare a una situazione che si va consolidando
non è semplice, ma a mio avviso le due piste proposte sono
da perseguire doverosamente, prima di giungere a soluzioni
più drastiche (abbandono del meccanismo societario duale) o
addirittura di ritorno (ma sarebbe possibile ?) allo status
quo ante.
Va tuttavia detto che la maggioranza (e il Sindaco in
particolare), pur mantenendo il proprio giudizio critico su
come si è operata la fusione, si è mostrata
responsabilmente aperta all’opposizione nello studiare
linee di intervento il più possibile condivise: si tratta
di un bel gesto (per ora non replicato su altri campi),
anche dovuto (sia detto) alla scarsa affidabilità
amministrativa di molti esponenti del centro-destra e, di
contro, all’esperienza che in questo campo un centro-
sinistra per molti anni al governo della Città può
sicuramente offrire.

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Il tema però sul quale la dialettica politica locale ha
registrato i picchi più accesi di polemicità è dato dalla
ormai famosa previsione di garantire un assegno di mille
euro ai nuovi nati in città da genitori (esclusivamente)
italiani
.
Come già riferito nella precedente Lettera, su questo tema
il PD ha aperto con grande convinzione un fronte di critica
serrata all’amministrazione comunale.
Ma la straordinaria novità che nel frattempo è venuta a
maturare è rappresentata da una puntuale e articolata presa
di posizione
(che allego) del Vescovo di Brescia, mons.
Monari, che ha sostanzialmente sconfessato l’approccio al
riguardo della Giunta Paroli.

Il tema è stato finalmente oggetto di un dibattito vero
(in precedenza era stato solo lambito in sede di Consiglio
comunale all’interno di discussioni relative a tematiche
più ampie) in Commissione Servizi alla Persona lunedì
scorso.
In quella sede sono intervenuto innanzitutto per
stigmatizzare l’atteggiamento di fastidio che, solo una
settimana prima, il Sindaco aveva mostrato nel prendere la
parola su di un emendamento al bilancio da me presentato al
riguardo.
Se persino il Pastore della Diocesi ha ritenuto di
esprimere la propria opinione, si vede che non era proprio
così peregrina la richiesta di confronto sul tema!
In secondo luogo ho ravvisato una patente contraddizione
tra chi nel centro-destra, da un lato, declama i valori di
centralità della persona e della famiglia fondata sul
matrimonio e dall’altro adotta un criterio di elargizione
basato sul possesso della cittadinanza.
Pare in effetti che ai fini del bonus bebè, il valore
famiglia sia posposto - e non anteposto - a quello
cittadinanza, con il paradosso che a beneficiarne sarebbero
anche coppie italiane non sposate e non invece coppie
straniere sposate.
In terzo luogo ho ritenuto di replicare a chi
giuridicamente difendeva il parametro della cittadinanza,
ricordando che la scelta (a mio modo di vedere di grande
civiltà) della nostra Costituzione è di differenziare
cittadini e non cittadini non tanto per il godimento dei
diritti economico-sociali quanto per quelli politici (voto,
impiego pubblico, servizio militare...), mentre il
godimento dei diritti economico-sociali è previsto per la
persona in quanto tale, indipendentemente dallo status
civitatis.
Infine, ho richiamato il Sindaco a un sano realismo:
il Sindaco è tale per definizione nei confronti di tutta la
comunità residente entro i confini del Comune. Dunque,
cittadini e stranieri. Le decisioni che il Comune adotta in
tutti i campi si riflettono, nel bene o nel male, su tutti
i residenti, al di là della loro cittadinanza. E’ dunque a
questa più ampia platea di persone che il Comune deve
volgere il proprio sguardo.
Purtroppo, e nonostante l’autorevole presa di posizione del
Vescovo, pare che la maggioranza di centro-destra non
intenda fare passi indietro sull’argomento.
Tuttavia, come PD, abbiamo intenzione di rilanciare
l’argomento e di mobilitare ulteriormente la cittadinanza.
Brescia, già culla del solidarismo (specialmente
cattolico), non può invertire la propria rotta, adottando
posizioni di retriva retroguardia culturale e politica.

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Il prossimo Consiglio comunale sarà Venerdì 31 ottobre.

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