giovedì 16 ottobre 2008

Sulla collocazione europea del PD

Segnalo questo mio articolo pubblicato su Europa di ieri sul tema della collocazione europea del PD.

Buona lettura, in attesa di riscontri.


Il Pse non può essere la nostra casa
FEDERICO MANZONI


Tempo fa è rimbalzata sulle pagine di Europa la notizia (peraltro non smentita dal responsabile esteri del partito) che, in merito alla futura collocazione degli eletti del Pd al parlamento europeo, non si discuta più il se dell’ingresso nel gruppo del Pse, ma il come.
A parte il fatto che, ancora una volta, ci troviamo dinanzi a decisioni – non certo marginali – presentate come un dato ormai acquisito, rispetto al quale resterebbero solo da dirimere alcune questioni organizzative, senza che si sappia in quale luogo trasparente e partecipato tali scelte siano state assunte.Ma, oltre a una questione di metodo (che in un partito che ha l’ambizione di definirsi democratico non è per nulla secondaria), ciò che più mi preoccupa è il merito che a essa inerisce.
La prospettiva europea è strategica per il Pd, che giustamente sin dal Manifesto fondativo dei saggi ha scommesso con forza e chiarezza sul cammino verso la federazione europea, rivalutando la migliore tradizione europeistica italiana da De Gasperi sino a Prodi.
Ma – come giustamente si è detto anche in passato – non è possibile dichiararsi europeisti sino al midollo se non si è nemmeno in grado di coagulare intorno a sé il meglio delle forze politiche che condividono con noi tale prospettiva politica.
Per questo la collocazione europea (e internazionale) del partito non è né un fatto secondario né tantomeno burocratico, ma è la cartina di tornasole per dimostrare se il progetto politico del Pd è un fatto politico davvero nuovo.
In maniera molto efficace, Pierluigi Castagnetti va da anni dichiarando che i novelli sposi non possono andare ad abitare insieme ai nonni.Ma, al di là della metafora, effettivamente non si riesce a capire come sia possibile conciliare il carattere di novità del Pd con l’accasamento (e qualche maquillage puramente di facciata, giusto per non far parlare di annessione e continuità col passato) in una famiglia politica consolidata come il Pse.
Non si tratta peraltro di voler invocare un banale nuovismo, gettando al vento, oltre alla zavorra, anche quanto di buono è opportuno ereditare dalle culture politiche che ci stanno alle spalle.
La questione è infatti molto più significativa se si pensi alle palesi e numerose contraddizioni che da tempo attanagliano il Pse, senza dimenticare che storicamente quest’ultimo ha spesso arrancato per (cercare di) stare al passo con l’Uedc, prima, e il Ppe, poi, nel tracciare la strada verso l’integrazione europea.
Come non ricordare che sul tema della Costituzione europea, cioè l’ultima tappa – non esaltante ma necessaria – per il progresso dell’integrazione comunitaria, se si eccettuano le estreme del parlamento europeo, i maggiori paradossi sono venuti proprio dalla posizione della famiglia eurosocialista, che porta su di sé, ad esempio, la (co)responsabilità dell’esito del referendum francese del 2005 o la mancata ratifica britannica ai tempi di Blair ? Quello stesso Blair, da molti in Italia additato come modello politico da seguire, schieratosi sin da subito a fianco dell’unilateralismo americano di Bush quando si trattò di affrontare (nella maniera che poi si è vista) il nodo Iraq.
Inoltre, come non riconoscere che il Pse, che sin dai tempi dell’Ostpolitik ha assunto con coerenza e meritoriamente la strada di una netta separazione dalla politica comunista, oggi invece sia piuttosto benevolo (per via di quella deleteria corsa al primato numerico conteso col Ppe) ad accogliere nelle proprie fila numerosi partiti ex comunisti dei paesi dell’Europa dell’est ?
E d’altronde come non ravvisare una patente contraddizione tra l’intento riformista del Pd italiano, ben rappresentato dai coraggiosi tentativi di liberalizzazione avviati dall’allora ministro Bersani, e la (per molti versi) retrograda battaglia della sinistra europea (Pse e non solo) contro la direttiva Bolkestein sulle liberalizzazioni (le cui conseguenze sul dibattito politico all’epoca del referendum francese del 2005 sono state peraltro evidenti)?
Un discorso che sottolinei le contraddizioni interne alle famiglie politiche europee potrebbe certamente farsi, analogamente al Pse, anche per il Ppe, che da partito democratico- cristiano è involuto su posizioni conservatrici. Ma oggi non è certo in discussione un’eventuale adesione del Pd al Ppe, e dunque non è il caso di indugiare sul punto, se non per ricordare che i popolari italiani, riconoscendo con franchezza che le affermazioni di federalismo europeo, personalismo comunitario ed economia sociale di mercato, caratterizzanti sul piano programmatico il Ppe, non trovavano più coerenza con i partiti nazionali che dagli anni Novanta in poi avevano fatto il loro ingresso nel gruppo parlamentare (prima) e nel partito (poi), molto coraggiosamente (e pur con legittimi rimpianti) decisero di lasciare il partito che loro stessi avevano contribuito a fondare e costituirono il Partito democratico europeo (un’esperienza oggi frettolosamente accantonata e dalle potenzialità, a mio giudizio, ancora da disvelare).
Non mi pare inconcepibile attendersi oggi dagli ex diessini un analogo sforzo di coraggio e di realismo politico nei confronti di una casa, quella socialista, nella quale, peraltro, sono approdati nemmeno una ventina di anni fa. Mentre sarebbe invece inaccettabile che il Pd andasse a finire in una casa che, oltre a non entrarci nulla con una significativa sua componente, va persino stretta all’altra componente che in essa attualmente risiede.
Il campo liberaldemocratico, che pure per esclusione potrebbe sembrare prospettabile (anche alla luce della profonda unità di intenti al suo interno circa i temi legati all’integrazione europea), presenta anch’esso obiettive controindicazioni. Non solo perché la maggior parte dei partiti liberali è alleata, nel proprio paese, con forze politiche del centrodestra, ma soprattutto perché quell’atteggiamento iperliberista in campo economico e iperlaicista in campo etico è per molti versi antitetico alle posizioni sia del cattolicesimo democratico sia della sinistra riformista.
Giungere a una soluzione convincente, di alto profilo e significativa sul punto è certamente operazione complessa e difficile.
Ma non si può dimenticare che oggi gli esponenti politici più credibili sul piano europeistico sono prevalentemente di estrazione democristiana o liberale: in particolare, il lussemburghese Jean Claude Juncker, la tedesca Angela Merkel, il belga Guy Verhofstadt. Non sarebbe allora paradossale che un partito a vocazione europeista come il Pd finisse per ritrovarsi nell’alveo dell’unica famiglia politica che sul punto fatica a esprimere una vera leadership ?

(direzione provinciale Pd Brescia; delegato al congresso costitutivo del Partito democratico europeo)

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono totalmente d'accordo. Il PSE non è per il PD!

Anonimo ha detto...

Con l'entrata nel PSE ci precludiamo anche la strada a una eventuale allenza con l'UDC. Quindi si rimane nel vecchio, possibili apparentamente solo con l'ingrato Di Pietro, e i Comunisti

Cassa ha detto...

Qui ci stiamo lasciando fregare come alle ultime Europee...possibile che non ci sia nessuno in grado di alzare la voce? Ad Assisi qualcuno ha sollevato la questione, che mi sono perso parecchio?

Anonimo ha detto...

Effettivamente mi ha lasciato un po' perplesso l'affondo di Lapo Pistelli (persona di cui ho peraltro profondissima stima) che dava per ineluttabile, se non auspicabile, l'ingresso nel PSE (negli stessi giorni Veltroni interveniva al congresso eurosocialista). Sappiamo che per la logica consociativistica (di stampo austro-tedesco?) che impera nel PE, i due gruppi maggioritari la fanno da padrone. Però vendersi così anche la camicia mi pare troppo. Già in troppi in Italia abusano del termine "sinistra" eliminando volutamente la dizione "centro-sinistra" di Morotea, Fanfaniana e Prodiana memoria... :-) ma se lo fa Emilio Fede è un conto, se lo fanno tutti ci troveremo un Pd al 20%. E non è una questione lessicale: si tratta di dare un futuro reale ed innovativo ad un partito che non si collochi all'infinito all'opposizione, a causa di un'evitabile ristrettezza di orizzonti.

Anonimo ha detto...

Manzoni sa come posso tesserarmi al PD?

Federico ha detto...

Ammesso che Lei sia di Brescia, può recarsi alla sede provinciale in via Risorgimento 18 (tel 3099845) ove con un semplice versamento di venti euro otterrà la tessera.

Anonimo ha detto...

Alla fine i conti tornano... se prima delle europpe non ci sarà un chiarimento definitvo, prevedo una lezione sonora per il PD... con conseguente probabile scissione (consensuale) tra chi si riconosce nella socialdemocrazia e chi si rifà al riformismo-democratico.... forse è meglio così : una sezione italiana del PSE che recuperi qualche desaparecidos alla sua sx (..e anche a dx) e un P. Dem. Europeo che con LETTA faciliti il dialogo con Casini ... se si fosse fatta questa scelta anni fa... saremmo ancora tutti alleati ma nella chiarezza !